Infermieri, Fnopi “Sugli organici serve un intervento strutturale”
PALERMO – Affrontare in modo strutturale le carenze d’organico, rendere più attrattiva la professione infermieristica, fare rete con gli altri professionisti della sanità e far diventare sistema le buone pratiche che ci sono in Italia.
Sono alcune delle proposte della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche.
Ne ha parlato in un’intervista all’Italpress la presidente della Fnopi, Barbara Mangiacavalli.
Si chiude a Palermo il Congresso itinerante della Federazione.
Un viaggio iniziato un anno fa a Firenze, che ha toccato 17 regioni italiane.
Dall’iniziativa, per Mangiacavalli, emerge “un bilancio straordinariamente positivo”.
“Questo congresso itinerante – ha spiegato – è stato avviato esattamente un anno fa per celebrare il 12 maggio.
E’ partito con un anno di ritardo perchè il 2020 per l’Oms era l’anno mondiale degli infermieri ed era il bicentenario dalla nascita di Florence Nightingale.
Avevamo preparato una grande festa – ha continuato – ma, come tutti sappiamo, il 2020 è stato un anno particolare.
Non abbiamo festeggiato ma abbiamo sicuramente onorato l’anno mondiale in un altro modo”.
Il congresso itinerante, quindi, è nato con l’idea di “avvicinarci ai nostri infermieri, ai luoghi di cura e assistenza”, ha spiegato.
“L’obiettivo – ha aggiunto – è stato quello di mettere in luce le buone pratiche che abbiamo trovato in tutta Italia, nessuna provincia esclusa”.
L’idea, dunque, è consegnare questi esempi positivi “alle istituzioni” perchè diventino “modalità comune e ordinaria di lavoro”.
Passata la fase più acuta della pandemia, però, tornano le vecchie emergenze della sanità.
Prima fra tutte è la carenza d’organico.
“La federazione – ha spiegato la presidente di Fnopi – ha lanciato molti appelli sul fatto che stavamo formando pochi infermieri.
La situazione era in qualche modo ‘drogatà dalle regole di sistema vigenti pre-pandemia, il blocco del turnover, i vincoli al tetto della spesa di personale, molte regioni in piano di rientro.
Quello riferito agli infermieri che non erano occupati nel servizio sanitario nazionale – ha proseguito – era un dato non realistico.
L’evidenza si è avuta con i primi decreti che hanno allentato questi vincoli: è vero che il Servizio sanitario nazionale ha assunto circa 30 mila infermieri ma il problema è che questi sono usciti dai settori assistenziali che sono fuori dal Ssn, soprattutto il settore socio-assistenziale”.
“E non ce ne sono più – ha continuato -, erano gli unici infermieri formati presenti in Italia.
Il tema della carenza è importantissimo e come Federazione chiediamo che venga affrontato in maniera strutturale e concreta con provvedimenti organici e non palliativi, transitori o temporanei”.
C’è poi anche la questione legata agli infermieri provenienti dall’estero.
“Le norme attuali hanno derogato ai percorsi di riconoscimento del titolo di iscrizione all’ordine”, ha sottolineato Mangiacavalli.
“L’ordine è un elemento di garanzia per il cittadino perchè esercita il controllo deontologico sugli iscritti”, ha aggiunto, spiegando poi che gli italiani, invece, “meritano un’assistenza infermieristica di Serie A, uguale in tutti i setting assistenziali, dentro e fuori dal Servizio sanitario nazionale”.
“Chiediamo alle istituzioni – ha affermato – di portare avanti un piano importante che non preveda solo l’incremento del numero dei posti nelle università, perchè è già stato aumentato ma i posti non sono ancora stati coperti tutti.
Abbiamo bisogno di lavorare affinchè la professione sia più attrattiva.
Abbiamo – ha sottolineato – almeno 20 mila colleghi formati in Italia che lavorano all’estero perchè lì trovano sviluppo di carriera, riconoscimento e dignità professionale che in Italia ancora manca.
Chiediamo di lavorare in maniera concreta su questi aspetti”.
Sebbene ancora a macchia di leopardo, anche in Italia si fa strada la figura dell’infermiere di famiglia e di comunità.
Se ne parla anche nel Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Può essere sufficiente per rendere la sanità più vicina ai cittadini? “Da solo no”, ha affermato Mangiacavalli.
“L’infermiere di famiglia e di comunità – ha proseguito – era già contenuto nel Patto per la Salute 2019-2021.
E’ stato ripreso dal decreto Rilancio, poi legge 77, e perfezionato con il Dpcm sugli standard territoriali.
E’ una figura che l’Oms aveva suggerito già molti anni fa, diffusa in tutti i paesi europei, che in Italia si è diffusa in alcune regioni in modo particolare e ha portato esiti di cura e assistenza importanti.
E’ quella figura chiave che connette i diversi professionisti che hanno in carico la persona assistita, dal medico di medicina generale agli specialisti ospedalieri, dagli psicologi ai fisioterapisti.
E’ la figura che guida l’assistito in tutto il suo percorso e ha una funzione di sanità proattiva insieme agli altri professionisti.
Per i numeri che sono stati previsti, un lavoro capillare di micro-èquipe dà sicuramente forza e vigore al Pnrr.
Non da solo, però, perchè – ha concluso – l’infermiere e gli altri professionisti devono costruire un lavoro di rete”.
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