La Lombardia apre i consultori agli antiabortisti: una decisione senza precedenti
La regione italiana della Lombardia ha recentemente preso una controversa decisione, diventando la prima a favorire l’ingresso delle associazioni pro-life nei consultori. Questa mossa è stata accolta con disapprovazione da molti, in quanto apre la porta all’ingerenza di tali associazioni nelle scelte mediche e personali delle donne.
La norma che ha reso possibile questa situazione è stata voluta dal Governo Meloni e inclusa nel decreto Pnrr. Essa consente agli antiabortisti delle associazioni pro-life di utilizzare metodi persuasivi, come ad esempio far ascoltare il battito del feto, al fine di convincere le donne a non abortire. Tuttavia, questa legge impedisce ai consultori di selezionare autonomamente i professionisti e le associazioni con cui collaborare, limitando così la libertà di scelta e la qualità dell’assistenza offerta alle donne.
La decisione della Lombardia è stata ufficializzata da Mauro Piazza, sottosegretario leghista, come risposta a una domanda posta dai consiglieri del Patto Civico. Piazza ha ribadito che la regione intende avvalersi di tutte le possibilità offerte dall’ordinamento per contrastare la denatalità, aggiungendo che integrerà le sue iniziative con le nuove opportunità concesse dalla normativa.
Nonostante la Lombardia abbia optato per questa direzione, molte altre regioni italiane si sono espresse contrarie all’ingresso degli antiabortisti nei consultori. Ad esempio, in Toscana l’assessore per la Salute Simone Bezzini ha dichiarato che le associazioni pro-life non avranno alcun ruolo all’interno dei consultori regionali. Questa decisione ha trovato sostegno anche tra i medici e i responsabili dei consultori, i quali hanno espresso la propria contrarietà all’ingerenza esterna nelle decisioni mediche.
La presidente della Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili del Comune di Milano, Diana De Marchi, ha espresso la sua opinione sull’argomento, affermando che la vera soluzione per contrastare la denatalità non risiede nell’ingresso delle associazioni pro-life nei consultori, bensì nel miglioramento delle condizioni lavorative e socio-economiche delle donne. Secondo De Marchi, è essenziale garantire un reale sostegno alle famiglie, prendendo ad esempio i dati provenienti da altri paesi europei.
In conclusione, la questione dell’ingresso delle associazioni pro-life nei consultori è stata affrontata in modo diverso da regione a regione in Italia. Mentre la Lombardia ha scelto di seguire la normativa del Governo Meloni, altre regioni come la Toscana hanno ribadito il loro rifiuto di coinvolgere tali associazioni nelle decisioni sanitarie delle donne. Resta da vedere come evolverà questa situazione e se altre regioni seguiranno l’esempio della Lombardia o adotteranno una posizione più conservatrice riguardo a questo delicato argomento.