Arrival, la comunicazione come alternativa alla guerra
È uscito il 19 gennaio il film di fantascienza Arrival, diretto da Denis Villeneuve. Basato sul racconto Storia della tua vita, incluso nell’antologia Storie della tua vita di Ted Chiang, è scritto da Eric Heisserer e vede come protagonisti Amy Adams, Jeremy Renner e Forest Whitaker. Il film è stato presentato il 2 settembre 2016 alla 73esima mostra d’arte cinematografica di Venezia.
La grande novità che caratterizza questo dramma fantascientifico è che, al contrario di Spielberg (Incontri ravvicinati del terzo tipo) e di Zemeckis (Contact), Arrival non affronta la questione della fine del mondo, ma questa volta alieni e umani provano a comunicare e comprendersi. Seguendo questo tema, Villeneuve aggiunge una dimensione supplementare interrogandosi sulle nostre capacità comunicative. È interessante vedere come il linguaggio vada interpretato come un dono e contemporaneamente come arma per dominare il Tempo.
In questo contesto troviamo Louis Banks, linguista di fama mondiale, che viene reclutata dall’esercito americano per aiutarli a comprendere il linguaggio degli alieni, arrivati da poche ore e approdati in undici diversi paesi del mondo a bordo di un’astronave ovoidale chiamata “il guscio”. La protagonista però condurrà i suoi studi sugli extraterrestri approdati nello stato del Montana. Ovviamente, per rispondere alle principali domande del caso, come: “chi sono?”, “cosa vogliono?”, “sono venuti in pace?”, è necessario un common ground tra i vari paesi in cui avvenga la comunicazione e quindi la reciproca comprensione.
È interessante vedere come “l’altro” venga analizzato senza pregiudizi, almeno come fanno Louis e Ian, il fisico teorico del team a lei assegnato. Ben presto si scopre che gli alieni comunicano attraverso una sorta di linguaggio scritto, basato su degli ideogrammi circolari che Louis deve riuscire a tradurre nel minor tempo possibile.
Il linguaggio quindi diventa nuovamente il mezzo fondamentale per aprirsi all’ “altro” e, come enuncia l’ipotesi di Sapir-Whorf citata dal film, la nostra lingua condiziona il nostro modo di pensare, vedere e approcciarsi al mondo.
Infatti, mentre la protagonista supera i limiti linguistici e riesce a entrare nel meccanismo dei simboli alieni, inizia ad avere delle visioni sempre più vivide e quello che pare essere il passato, in realtà si rivela essere il futuro che l’aiuta a cambiare il corso degli eventi presenti.
A questo, si aggiunge una visione più intima della stessa protagonista, che, pur vedendo nel suo futuro una figlia che morirà prematuramente, questo non le impedirà di metterla al mondo. È qui che interviene l’altro tema: l’amore, che pare essere uno dei nuovi temi favoriti dal genere sci-fi.
Tutto questo avviene ricalcando le orme di Interstellar di Christopher Nolan, dove l’amore assume la forma di linguaggio universale. Al contrario, però, della visione di Nolan, dove il tempo assume la forma di quarta dimensione, in Arrival il tempo diventa un dono.
Nonostante la “morale” sia molto importante, il film non convince a pieno per diversi motivi: non spiega quale sarà la minaccia che entro 3000 anni dovranno affrontare uomini e alieni nuovamente riuniti, e inoltre, gli alieni, potendo vedere il futuro, essendo il loro un tempo ciclico, dovrebbero già conoscere a priori gli esiti.
Volendo, inoltre, fare una ulteriore analisi, Arrival non offre la spettacolarità che caratterizza questo genere, eccezion fatta per la rappresentazione della navicella. Certamente non è facile eguagliare gli scenari di Nolan, che regala sempre grandi emozioni. Ad alzare l’asticella, però, troviamo la fantastica interpretazione di Amy Adams, che mai come ora riesce a far immedesimare lo spettatore.
È un film clamoroso, sicuramente ingenuo, che in linea di massima ha tutto per rendere felici tutti. In un mondo ideale, questo film potrebbe essere l’emblema di quanto la comunicazione sia fondamentale in ogni ambito della vita e dati gli incassi forse c’è speranza.