Orange is the new black, il lesbo-dramedy firmato Netflix

Orange is the new black, il lesbo-dramedy firmato Netflix

Orange is the new black è una serie tv americana uscita per la prima volta nel 2013, e fin qui va bene. Di marchio Netflix, è stata ideata da Jenji Kohan e prodotta dalla Lionsgate Television, e fin qui va bene. La trama è ispirata dalle memorie di Piper Kerman “Orange Is the New Black: My Year in a Woman’s Prison”, e fin qui… aspetta: gli occhi al cielo per quel che è di pugno femminile, come dire “che palle ‘ste donne, sarà l’ennesima guerra al maschilismo”. No, a questa serie vanno assegnate tutte le stellette al merito per la grande capacità di rendere tematiche difficili come lo stupro o la stessa vita in prigione, accessibili e anche divertenti.

Ma andiamo un momento ad analizzare la trama. Benissimo interpretata da Taylor Shilling, Piper Chapman è una donna totalmente nella media che viene condannata a scontare quindici mesi al Litchfield, carcere federale gestito dal Dipartimento federale di correzione, per aver trasportato una decina di anni prima una valigia piena di narcodollari per la sua fidanzata di allora, e trafficante di droga, Alex Vause (primo amore di tutte noi, omosessuali e non). È in questo momento che Piper fa “outing” e confessa il suo passato da “lesbo badgirl” al suo fidanzato e alla sua famiglia. Arrivata in carcere, Piper è costretta a mettere in discussione tutte le sue convinzioni e a formare nuove e inaspettate alleanze con il gruppo di eccentriche e schiette detenute. Nonostante le lacrime e la frustrazione, la protagonista inizia a ritrovare un proprio equilibrio entrando a far parte di quel complesso meccanismo che è la prigione. È qui che la serie si snoda in diversi percorsi: non solo quello di Piper, che in carcere diventa “Chapman”, secondo la legge per cui è il tuo cognome ad identificarti, ma anche per quello di tutte le altre detenute, e devo dire che qui Kohan si è superata inserendo la loro storia attraverso flashback davvero ben congegnati. Di detenute ce n’è davvero per tutti i gusti, necessarie al fine di ricostruire la vita quotidiana dell’istituto.

Sebbene l’ambientazione sia quella che è, e le detenute non siano propriamente gentili, la leggerezza dello show, per chi lo ha seguito, potrebbe ricordare Weeds (e infatti è la stessa Jenji Kohan a dargli vita). Per questa ragione Oitnb si può collocare nel dramedy, ovvero una serie che parla di un argomento forte ma con toni leggeri, e a conferirgli questo stato è la stessa Piper, spaventata e impacciata con un modo d’essere che non può che renderla divertente.

Nella quarta stagione, i toni si fanno più gravi, rendendo davvero Oitnb una sorta di denuncia. Infatti, verrà dato grande spazio all’attualità: l’odio e le discriminazioni razziali sono due temi centrali.

Sarà il nuovo capo delle guardie del carcere, Desi Piscatella, interpretato da Brad William, già visto in Dexter, a creare un ambiente di odio e terrore. Ma come ogni regime, anche questo è destinato a giungere alla fine. Infatti, il finale della quarta stagione ci lascia tutti col fiato sospeso, in un limbo di domande insopportabile. Fortunatamente questa costante colonscopia è destinata a finire (e devo dire che non ero così felice dai tempi in cui il Winner taco tornò sui tabelloni dei gelati). Infatti, a partire dal 9 giugno, uscirà la tanto attesa quinta stagione, che si svolgerà “nel corso di tre giorni”. Quindi sto passando questi mesi a capire l’algoritmo che consenta di ordinarmi una pizza + guardare Oitnb + selezionare solo gli M&M’s rossi dal pacchetto, il tutto rimanendo categoricamente nel letto.

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