Trump punisce le aziende Usa che vanno all’estero

Trump punisce le aziende Usa che vanno all’estero

Donald Trump vuole da subito dare la sua impronta alla nuova presidenza e annuncia provvedimenti per le azienda americane che decidono di realizzare all’estero. L’intenzione è di imporre una tassa del 35% su tutti i prodotti che le aziende americane realizzano all’estero, e poi vendono negli Stati Uniti. “Una iniziativa, dice lui, che ha lo scopo di scoraggiare l’esportazione dei posti di lavoro, ma che rischia di mettere in crisi l’intero settore manifatturiero del Paese, dalla tecnologia alle automobili, che hanno già sostanziali attività fuori dai confini nazionali.

Trum in campagna elettorale avevo già promesso che sarebbe intervenuto duramente sul trasferimento degli stabilimenti americani all’estero, dove il lavoro costa meno. Questa promessa lo aveva aiutato a vincere negli Stati della «Rust Belt», dalla Pennsylvania al Michigan, dove molti colletti blu hanno perso il posto a causa della globalizzazione. La disoccupazione in generale sta scendendo negli Usa, dove il dato appena pubblicato dell’ultimo mese la dà al 4,6%, una soglia considerata da molti economisti come strutturale nelle economie di mercato. I nuovi posti però non vengono creati nei settori tradizionali della old economy, e richiedono la scelta strategica di riorientare e riaddestrare la forza lavoro.

Questa iniziativa rientra nel quadro delle iniziative per recuperare le vecchie occupazioni che la globalizzazione ha spinto fuori dai confini nazionali. Lo ha confermato subito dopo l’elezione, quando ha convinto il gigante dell’aria condizionata Carrier a tenere negli Usa la metà dei 2.000 lavori che programmava di spostare nel Paese centramericano. La Carrier ha sede in Indiana, lo Stato del suo vice Mike Pence, che le ha offerto 7 milioni di dollari in incentivi per restare.

La prima cosa da chiarire è se il progetto di Trump riguarda solo gli spostamenti di lavoro futuri, o anche le attività già aperte all’estero dalle aziende americane. Se fosse vero il secondo caso, anche gli iPhone prodotti in Cina dalla Apple subirebbero il dazio, come le auto, i computer, i condizionatori d’aria, e molto merchandising venduto dalla stessa compagnia del nuovo presidente. Questo rischierebbe di mandare in crisi interi settori trainanti dell’economia Usa.

Se invece l’avvertimento riguarda solo le operazioni future, si tratta di valutare la sua sostenibilità, perché la globalizzazione nel frattempo continuerebbe a consentire ai concorrenti stranieri delle compagnie americane di sfruttare le condizioni vantaggiose esistenti all’estero. Questo penalizzerebbe fortemente le aziende Usa, mettendone a rischio la sopravvivenza. Gli ordinamenti americani inoltre vietano di approvare leggi mirate contro singole compagnie, ritenute responsabili di comportamenti sbagliati, e quindi l’iniziativa colpirebbe e sarebbe dolorosa per tutti.