Antitrust condanna WhatsApp a multa da 3 mln: scambio dati con Fb
Multa salata per Whatsapp, almeno in Italia. L’app di messaggistica più famosa e frequentata al mondo, con un bacino di utenza di un miliardo di persone, è incappata nelle sanzioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Dopo due istruttorie la multa salatissima comminata è di 3 milioni di euro.
La sanzione è più bassa del massimo previsto per queste violazioni di 5 milioni di euro. Non una gran cosa, per la ricca società di Mark Zuckerberg. In ogni caso, la multa è significativa perché sancisce un principio, che le società di internet non hanno il diritto di trattare i dati personali come vogliono.
I motivi della multa
Dallo scorso 25 Agosto, infatti, con una notifica che informava delle novità sulla privacy, gli utenti sono stati obbligati ad accettare integralmente entro 30 giorni i nuovi termini di utilizzo della chat. Ovvero la condivisione dei propri dati con Facebook. Il tutto, secondo l’Antitrust è avvenuto in maniera scorretta e ingannevole. È stato fatto credere che se non avessero aderito alle nuove condizioni, sarebbe stato impossibile per loro poter utilizzare ancora l’applicazione.
Una fonte infinita di dati, un pozzo da cui ricavare informazioni su gusti e inclinazioni di un numero imprecisato di utenti. A cui poter propinare un’offerta pubblicitaria mirata che sulla App non c’è, ma non a caso su Facebook invece è prevista. Chi era già utente, ha avuto la possibilità di accettare “parzialmente” le condizioni di utilizzo, potendo decidere di non voler condividere informazioni e dati con Facebook.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, lo scorso Ottobre ha aperto ben due istruttorie per verificare se WhatsApp abbia violato il Codice del Consumo. La prima istruttoria ha verificato che con i nuovi termini di utilizzo gli utenti sono stati costretti a condividere i propri dati con Facebook facendogli credere in maniera ingannevole che altrimenti non avrebbero più potuto usare il servizio.
La seconda istruttoria, ha accertato le modalità vessatorie dei termini contrattuali dell’app: se da un lato l’azienda veniva infatti scaricata da ogni responsabilità, dall’altro poteva senza motivo recedere il contratto unilateralmente e non consentire più all’utente l’accesso ai servizi.