Condannato a morte il ricercatore iraniano: mobilitazione in Italia

Condannato a morte il ricercatore iraniano: mobilitazione in Italia

Il ricercatore iraniano arrestato a Teheran lo scorso anno con l’accusa di essere una spia è stato condannato a morte. Ahmadreza Djalali, questo il suo nome,  ha lavorato per quattro anni a Novara, all’Università del Piemonte Orientale. L’appello per la sua liberazione parte proprio dai suoi ex colleghi.  Djalali, che respinge le accuse al pari di chi lo ha conosciuto e ha lavorato con lui, ha osservato un lungo sciopero della fame per ottenere dall’Iran il rispetto dei propri diritti.

Si mobilita la Farnesina

A rendere nota la condanna del ricercatore è stata la senatrice del Pd Elena Ferrara : «La notizia ci è arrivata dalla moglie e questa mattina è stata confermata dalla Farnesina. Ridaremo vigore alla mobilitazione, non ci arrendiamo».

“Abbiamo sollevato il caso più volte, lo abbiamo fatto a livello diplomatico con il nostro ambasciatore e a livello governativo. Vedrò il nostro ambasciatore in Iran nei prossimi giorni. L’ho appena sentito e continueremo a sensibilizzare gli iraniani su questo caso, fino all’ultimo”, ha detto il ministro degli Esteri, Angelino Alfano.

Djalali ha 45 anni e si trova nella prigione di Evin, a Teheran dall’aprile del 2016. Esperto di medicina d’emergenza, tra il 2012 e il 2015 ha lavorato al Centro di ricerca interdipartimentale in medicina dei disastri dell’Università del Piemonte Orientale.

Nei mesi scorsi c’è stata una mobilitazione internazionale, che ha portato alla raccolta di oltre 220 mila firme in tutto il mondo. Amnesty International ha avviato un’azione urgente e i figli di 5 e 14 anni, che vivono in Svezia con la mamma, si sono rivolti anche a Papa Francesco.

 

 

Ferma condanna della sentenza a livello internazionale

Anche l’organizzazione per i diritti umani Iran human rights, vicina all’opposizione iraniana, ha condannato “fermamente” la sentenza. Il direttore Mahmoud Amiry-Moghaddam, citato dal sito d’informazione Iranhr, ha dichiarato che “Djalali è stato giudicato da un tribunale rivoluzionario senza i minimi requisiti richiesti per un processo equo. Chiediamo alla comunità internazionale una ferma condanna della sentenza”. Amnesty international, secondo quanto riporta radio farda, emittente dell’opposizione, ha riferito che il ricercatore era “sotto pressione” per firmare documenti che avrebbero confermato le accuse di spionaggio. E “dopo il suo rifiuto di firmare le carte, è stato minacciato, con la prospettiva della condanna a morte”.

“È un fatto inaccettabile e del tutto imprevedibile” ha detto il professor Francesco Della Corte, direttore del Credim, che ha lavorato per alcuni anni al Centro di ricerca interdipartimentale in medicina dei disastri dell’Università del Piemonte Orientale. “Purtroppo la mobilitazione internazionale non ha dato i risultati sperati – ha aggiunto – ma non ci lasceremo prendere dallo sconforto e continueremo a batterci per il nostro collega”. “È un fatto terribile, che ci lascia sgomenti, e che conferma la distanza siderale tra la nostra civiltà e la loro per valori, cultura e principi”, aggiunge il sindaco di Novara, Alessandro Canelli. “È un destino assurdo, al quale spero che si potrà porre rimedio – aggiunge il primo cittadino -. Qualsiasi iniziativa vedrà il Comune di Novara pronto a collaborare, indipendentemente da qualsiasi colore politico: qui c’è in ballo il destino di un uomo ingiustamente condannato”.

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