Crac del Credito cooperativo: nove anni a Verdini in primo grado

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Condannato a 9 anni di reclusione dal Tribunale di Firenze, si tratta di Denis Verdini senatore e leader di Ala. Questa la sentenza di primo grado al termine del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino (Ccf), la banca di cui è stato presidente dal 1990. I pm avevano chiesto 11 anni.

Due anni e sei mesi, invece, è la condanna per il deputato Massimo Parisi, stretto collaboratore di Verdini.
I giudici hanno poi condannato a cinque anni e sei mesi ciascuno gli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei. Interdizione perpetua dai pubblici uffici anche per loro. Tutti gli imputati sono stati invece assolti dall’associazione a delinquere.

Verdini è stato assolto relativamente ai prestiti concessi a Marcello Dell’Utri. La Procura contestava una serie di fidi scoperti di conto corrente per un ammontare di 2,8 milioni tra il dicembre 2006 e il marzo 2010.

“Non è finita, rispettiamo la sentenza ma siamo pronti a combattere e attendiamo le motivazioni per andare in appello”. Così Ester Molinaro, legale di Verdini dopo la sentenza di primo grado. “Per ora – ha aggiunto Molinaro commentando la condanna – abbiamo dimostrato che non esiste alcuna associazione tra Verdini e i suoi presunti sodali, in appello dimostreremo che non sussistono neppure le altre accuse”.

Tutti gli imputati al processo per il crac del Credito Cooperativo Fiorentino sono stati assolti dal collegio dall’accusa di associazione a delinquere. Il deputato di Ala Massimo Parisi è stato condannato a due anni e sei mesi  a conclusione del processo per il crac del Credito cooperativo fiorentino. Per il parlamentare, uno dei più stretti collaboratori di Denis Verdini, i pm avevano chiesto una condanna a sei anni.

Quasi una settimana di camera di Consiglio. Sei giorni in cui i giudici del collegio del Tribunale di Firenze hanno passato al setaccio le posizioni dei 45 imputati, di cui 43 persone e 2 società, protagonisti di 70 udienze e di oltre 3.600 pagine processuali. Sono alcuni dei numeri del processo per il crac dell’ex Credito cooperativo fiorentino (Ccf), la banca che Denis Verdini ha guidato dal 1990 al 2010, fallita nel 2012.

Il senatore di Ala, come quasi tutti gli altri accusati, dovevano rispondere, a vario titolo, di associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita, truffa e irregolarità rispetto alle normative bancarie. Tra gli imputati anche il collega di partito Massimo Parisi e i costruttori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei verso le cui società la banca si era, secondo l’accusa, eccessivamente esposta. Imputati anche membri dei cda della banca e sindaci revisori.

Secondo l’accusa, la banca aveva erogato decine di finanziamenti a società riconducibili a interessi di Riccardo Fusi (già condannato per l’inchiesta sulla cricca degli appalti, capitolo Scuola Marescialli di Firenze), Roberto Bartolomei e altri imputati su contratti preliminari basati su operazioni fittizie o comunque viziati da irregolarità di vario tipo. Un sistema che nel tempo avrebbe favorito una galassia di società – alcune fallite – contribuendo a svuotare il patrimonio del centenario istituto di credito.

Nel processo i pm evidenziarono anche presunte carenze nei controlli della governance della banca, con mancate verifiche di operazioni quanto meno incaute o comunque estranee alla prassi del sistema creditizio. Al crac era stato collegato pure il complesso meccanismo ideato per accedere senza averne diritto – sulla base di una sorta di fatturazione circolare tra le varie società per prestazioni e servizi – ai contributi per l’editoria di alcune testate locali.

 

Lo Stato «rivuole» circa 42 milioni per i contributi erogati, comprensivi di interessi. La Banca senese chiede 48 milioni agli imprenditori Fusi e Bartolomei che beneficiarono di prestiti da un pool di istituti per la ristrutturazione dei debiti delle loro aziende.

Giornali che erano amministrati da un altro imputato «politico», il deputato di Ala Massimo Parisi, per il quale l’avvocato Francesco Sisto ha cercato di dimostrare l’estraneità alle contestazioni ma soprattutto che le cooperative «fittizie» che editavano i giornali erano invece «vere, davano occupazione e sfornavano un prodotto di qualità fatto con giornalisti regolarmente contrattualizzati».

Interventi accorati anche quelli degli avvocati Sandro Traversi e Sara Gennai in difesa dell’ex imprenditore della Btp, Riccardo Fusi, e di Gianluca Gambogi e Alice Pucci per dimostrare l’innocenza dell’ex socio di Fusi, Roberto Bartolomei.

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