CSM chiede una legge per togliere i figli ai condannati per mafia
Il CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) approva a Palazzo Marescialli la proposta, da indirizzare al Parlamento, di introdurre nel codice penale una norma che consenta ai giudici di togliere o allontanare i figli minorenni ai componenti di famiglie mafiose.
La sollecitazione al legislatore è quella di introdurre la pena accessoria della decadenza o limitazione dalla potestà genitoriale per i condannati per i reati associativi di tipo mafioso di cui all’art. 416 bis cp, nel caso di coinvolgimento dei figli nelle medesime attività.
Nello specifico è stata approvata dal CSM all’unanimità la risoluzione elaborata dalla VI Commissione, indirizzata ai presidenti delle Camere e al ministro della Giustizia, con cui la magistratura chiede al Parlamento di dare un sostegno legislativo volto a potenziare gli strumenti a disposizione dei giudici nei confronti dei figli minori di persone condannate per mafia o associazione a delinquere di stampo mafioso.
I comportamenti considerati segnale di inidoneità genitoriale sono stati individuati anche nella trasmissione, tramite l’educazione, di modelli culturali delinquenziali e criminosi quali l’ostilità alle istituzioni, la non frequenza alla scuola dell’obbligo e l’apprendimento di condotte illecite.
Il provvedimento nell’interesse del minore
La nostra Carta Costituzionale sancisce doveri personali ed economici nei confronti dei genitori che si traducono nel diritto a ricevere un’educazione responsabile e responsabilizzante che prevenga il giovane dai rischi legati alla trasgressione delle comuni norme dei cittadini.
Il CSM si allinea in questo modo ai provvedimenti precedenti dei tribunali di Reggio Calabria, Napoli e Catania presi a seguito di numerosi casi di coinvolgimento di minori in attività illecite e di indottrinamento a condotte criminali, tra le quali le più estreme il taglio della droga e la detenzione di armi.
«La famiglia mafiosa, agendo in spregio ai propri doveri di educazione e salvaguarda del minore, finisce per essere una famiglia maltrattante, nei cui confronti deve essere operata una vera e propria cesura, nello stesso modo in cui si interviene nei confronti dei genitori alcolisti o tossicodipendenti.» Queste le parole a sostegno del proprio orientamento contenute nella delibera che ha come relatori i togati Ercole Aprile e Antonello Ardituro. La motivazione del provvedimento risale al concetto di interesse del minore. In particolare i giudici lo individuano non senza sforzi, contemperando i due diritti ugualmente importanti per un bambino: da una parte quello di vivere nella propria famiglia d’origine e di essere cresciuto dai propri genitori, dall’altro il diritto ad una armoniosa crescita psico-fisica e a una civile convivenza. E’ indubbio che la proposta sottende una ponderazione di interessi di difficile bilanciamento, a questo punto spetta al legislatore definirne il confine.