Dipendenza dai social: a lavoro può essere causa di licenziamento
La dipendenza dai social network sta diventando una vera e propria causa di licenziamento. L’assenteismo virtuale e la violazione dell’obbligo di fedeltà sono le maggiori cause.
Spesso i lavoratori, non mollano i social nemmeno durante le ore lavorative, tutto questo può essere pericoloso per il posto di lavoro. Pubblicare lo stato “la mia azienda sfrutta i dipendenti” è diffamazione, pubblicare foto e video dove magari si mostrano dei prodotti che potrebbero agevolare la concorrenza, è ingiuria, viene violato il contratto di riservatezza.
Non importano i filtri per la privacy che un utente può impostare sul social network. A stabilirlo sono state diverse sentenze emesse negli ultimi anni tra cui l’ultima, la numero 782 del 13 giugno 2016, con la quale il tribunale di Brescia ha confermato il licenziamento di una lavoratrice scoperta ad utilizzare il pc aziendale per consultare Facebook e la propria casella di posta elettronica senza essere autorizzata dal datore di lavoro.
Non solo, quindi, Facebook può essere causa di licenziamento, ma il datore di lavoro può anche controllare la cronologia del computer per provare gli accessi del dipendente.
Per evitare il licenziamento si consiglia un uso più corretto delle piattaforme social: evitare di pubblicare foto che possano presentare al datore di lavoro una realtà diversa da quella raccontata dal dipendente.Un esempio classico è quello del dipendente che si assenta dal lavoro per malattia e che, senza considerare il rischio, pubblica sul proprio profilo Facebook foto che lo ritraggono in vacanza.
Il datore di lavoro potrà portare in tribunale a supporto delle sue ragioni le foto pubblicate dal dipendente. Occorre fare attenzione anche agli eventuali post in cui si racconta cosa si sta facendo, e che differiscano da quanto raccontato al datore di lavoro per giustificare la propria assenza dal lavoro.
Per i post denigratori nei confronti dell’azienda in cui si lavora, per far scattare il licenziamento non occorre che il post sia pubblicato durante l’orario di lavoro: la Corte di Cassazione, infatti, ha stabilito che Facebook è un luogo pubblico e pubblicare su di esso un post denigratorio equivale a pubblicarlo su una pagina di giornale.