Dire omosessuale a qualcuno non è più un’offesa, lo dice la Cassazione
Dare dell’omosessuale ad una persona non è più considerato lesivo del suo onore e non è considerata un’offesa: lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza numero 50659 che cancella ogni pregiudizio dalla parola “omosessuale” che, diversamente da altri appellativi che invece mantengono un carattere denigratorio, è entrata nell’uso corrente e attiene alle preferenze sessuali dell’individuo, assumendo di per sé un carattere neutro, annullando una condanna per diffamazione inflitta il 20 marzo del 2015 dal Giudice di pace di Trieste. La Corte ha dato ragione all’imputato, un uomo argentino di 70 anni, che aveva fatto ricorso direttamente in Cassazione, saltando l’appello, contro la pena pecuniaria comminata dal Giudice di Pace, sostenendo che la parola ‘omosessuale’ ha ormai perso “qualsiasi carattere lesivo” nell’evoluzione “del linguaggio comune”. Ne è così conseguito che, nonostante quel termine fosse stato usato con intento denigratorio, il reato non possa sussistere in virtù di come “non può ritenersi effettivamente offensivo”. Per la Cassazione, si tratta, di un giudizio non al passo con i tempi: nel presente contesto storico si deve escludere che la parola omosessuale abbia la valenza offensiva, che aveva in un passato neppure tanto remoto. Per questo, non è lesiva della reputazione di nessuno, anche nel caso in cui sia rivolta a una persona eterosessuale. I giudici fanno comunque una distinzione tra la parola omosessuale e altri appellativi usati per esprimere lo stesso concetto ma in modo denigratorio. Sono passati nove anni dalla precedente decisione con la quale la Cassazione (sentenza 10248) aveva invece condannato per ingiuria un ragazzo che aveva usato in una lettera il termine gay. Per la Suprema corte ora si può dire. Resta però convinto del contrario il destinatario dell’espressione che si era sentito offeso