Errore calcolo della Tari in alcuni comuni: pagato il doppio per anni

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Errore nel computo della quota variabile della Tari negli ultimi cinque anni in diversi Comuni. Un errore che ha fatto lievitare a dismisura il prelievo, a spese di milioni di famiglie. Anche fino al doppio del dovuto.

L’irregolarità è stata segnalata dal sottosegretario all’Economia Pier Carlo Baretta, nel corso di un question time a Montecitorio. Il Movimento Difesa del Cittadino grida alla truffa ai danni dei contribuenti: l’associazione dei consumatori ha lanciato la campagna ‘SOS Tari’ per chiedere i rimborsi ai Comuni che avrebbero applicato la tassa rifiuti ingiustamente maggiorata.

Boletta salatissima

I contribuenti si sono così trovati una bolletta in cui, oltre alla quota fissa c’è una quota variabile moltiplicata tante volte quante sono le pertinenze. Ad esempio: chi ha una casa con 125 metri quadrati complessivi, di cui 100 di casa, 15 di garage e 10 di cantina ha pagato la quota variabile non una, ma tre volte.

Cos’è la Tari

La Tari, introdotta nel 2014 (dalla L.147/13) serve a finanziare il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. È tenuto a versarla chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte che possono produrre immondizia. Insieme all’Imu e alla Tasi costituisce la Iuc, l’Imposta unica comunale. La Tari ha preso il posto della Tares, in vigore nel solo 2013, che a sua volta sostituiva i vecchi prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani (Tarsu, Tia1 e Tia2). Le scadenze di pagamento della Tari sono fissate da ciascun Comune. Di norma è scaglionata in almeno due rate, ogni sei mesi.

 

Come recuperare le somme pagate in più

I contribuenti possono impugnare l’avviso di accertamento del tributo, notificato loro dal Comune, presentando ricorso alla Commissione tributaria provinciale, in cui denunciano la cattiva applicazione della normativa.

Il ricorso va effettuato entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso. Non è sempre facile capire se la tariffa è stata applicata nel modo giusto. Dunque, si può procedere con una richiesta al Comune di accesso agli atti amministrativi (come previsto dalla L.241/90). In questo modo si potrà consultare il proprio fascicolo e verificare i criteri adottati per il calcolo del tributo. Un’altra strada, sarebbe inoltre impugnare dinanzi al Tar l’intero regolamento comunale relativo alla Tari. I Comuni, dal canto loro, potrebbero già da ora correre ai ripari modificando in autotutela i propri regolamenti se risultano illegittimi, e le proprie tariffe.
Sono pochi i Comuni che hanno espressamente previsto nei loro regolamenti Tari la non applicabilità della quota variabile alle pertinenze dell’utenza domestica. Si dovrebbero quindi leggere attentamente gli avvisi di pagamento che l’ente ha inviato a tutti i contribuenti (la Tari è riscossa normalmente su liquidazione d’ufficio) e verificare, in caso dipertinenze, che la quota variabile applicata risulti pari a zero euro.

In caso di gestione esternalizzata del tributo, ad esempio da parte della società che gestisce il servizio rifiuti (che potrebbe essere una società in house), il contribuente deve presentare a questa e non al Comune l’istanza di rimborso della quota Tari indebitamente pagata. Allo stesso modo, in caso di diniego o silenzio-rifiuto, il ricorso dovrà essere proposto contro la società.

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