Entro il 2020 malati cronici rappresenteranno l’80% della popolazione
Le malattie croniche nel 2020 rappresenteranno l’80% di tutte le patologie nel mondo, con il diabete che è tra quelle che cresce più rapidamente. A livello globale le malattie croniche sono responsabili dell’86% di tutti i decessi, con una spesa sanitaria di 700 miliardi di euro.
È quanto emerge dal workshop ‘Il paziente al centro – La gestione integrata della cronicità’ (organizzato con il contributo non condizionante di Msd) nell’ambito del progetto Insiemeperilcuore.
In Italia, tra le malattie croniche, il diabete è “un’emergenza: solo un paziente su tre ha un adeguato controllo e di conseguenza le complicanze cardiovascolari, renali, oculari determinano un altissimo impatto socio-economico per il Sistema sanitario nazionale”.
Il diabete nel nostro Paese colpisce circa 3,6 milioni di persone e che entro il 2035 sfiorerà in Europa il tetto dei 70 milioni di pazienti, contro gli attuali 52 milioni.
Ma – viene spiegato – “permangono ostacoli per i farmaci innovativi contro il diabete; e il medico di medicina generale non può prescriverli”.
Tra le sfide alle quali è chiamato a rispondere il sistema sanitario primo fra tutti è il diabete, una delle malattie croniche a più rapida crescita, che in Italia colpisce circa 3.600.000 di persone e che entro il 2035 sfiorerà in Europa il tetto dei 70 milioni di pazienti, contro gli attuali 52 milioni.
Dei pazienti italiani, solo 1 su 3 ha un adeguato controllo del diabete mentre gli altri vanno incontro alle complicanze della malattia: si stima che il 50% dei pazienti muoia a causa di malattie cardiovascolari, il 10-20% per insufficienza renale, mentre il 10% subisce un danno visivo. Tra le persone anziane con diabete di tipo 2 gli eventi cardiovascolari legati alle complicanze della malattia sono la principale causa di mortalità: il 70% dei decessi in questa fascia d’età è dovuto ad un evento cardiovascolare, in primis infarti e ictus. Altissimo l’impatto economico per il SSN, con costi complessivi, diretti e indiretti, stimati in 20,3 miliardi di euro l’anno.
Le malattie che ci affliggeranno saranno lo scompenso cardiaco, l’insufficienza respiratoria, i disturbi del sonno, il diabete, l’obesità, la depressione, la demenza, l’ipertensione e l’ipercolesterolemia, ritenute una “vera e propria emergenza sanitaria”.
Uno strumento importante è il Piano nazionale delle cronicità messo a punto dal ministero della Salute per disciplinare “le modalità di assistenza dei pazienti affetti da malattie croniche, armonizzando le attività”; tra i punti cardine del Piano,: l’ospedale come snodo di alta specializzazione, l’integrazione tra assistenza primaria e cure specialistiche, il supporto al paziente e il potenziamento delle cure domiciliari, e piani di cura personalizzati.
Le patologie croniche hanno un’insorgenza graduale nel tempo, cause multiple e non sempre identificabili e richiedono assistenza sanitaria a lungo termine, con cure continue e non risolutive: è l’identikit delle patologie croniche, responsabili a livello globale dell’86% di tutti i decessi, con una spesa sanitaria di 700 miliardi di euro; nel 2020 rappresenteranno l’80% di tutte le patologie nel mondo.
In Europa, malattie come lo scompenso cardiaco, l’insufficienza respiratoria, i disturbi del sonno, il diabete, l’obesità, la depressione, la demenza, l’ipertensione e l’ipercolesterolemia colpiscono l’80% delle persone oltre i 65 anni e con il progressivo invecchiamento della popolazione le malattie croniche diventeranno sempre più la principale causa di morbilità, disabilità e mortalità.
L’Italia, con una percentuale di “over 65” sul totale della popolazione pari al 21,2%, è in prima linea. Attualmente circa due milioni 600 mila anziani vivono in condizione di disabilità e il 51% della spesa per i ricoveri ospedalieri è attribuita alla fascia di età over 65.
Si tratta di una vera e propria emergenza sanitaria che cambia il modello stesso dell’assistenza spostando sempre più il baricentro dall’ospedale al territorio.
Un altro fronte aperto della cronicità riguarda le persone colpite da Sindromi Coronariche Acute (SCA) che, una volta superata la fase acuta dell’infarto, diventano a tutti gli effetti pazienti cronici a rischio cardiovascolare elevato. La gestione della fase di follow up dopo l’episodio acuto non è soddisfacente: la mancanza della continuità nel percorso tra Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC) e territorio non supporta il paziente, ostacola il controllo di un fattore di rischio fondamentale come il colesterolo LDL e fa crescere la percentuale di ricadute e riospedalizzazioni.
Ogni anno in Italia si registrano più di 135.000 eventi coronarici acuti, dei quali un terzo risultano fatali. Nei primi due anni successivi all’infarto la probabilità di essere nuovamente ricoverati è superiore al 60% dei casi e il 30% di questi è dovuto ad una nuova sindrome coronarica acuta. Nel primo anno dopo l’evento coronarico acuto la mortalità extraospedaliera raggiunge il 12%, e di questa il 10% è dovuta a recidiva di infarto miocardico.
Una delle cause delle recidive è il mancato raggiungimento dei target terapeutici nel controllo del colestesterolo LDL, dovuto anche alla mancata aderenza alla terapia, ridotta del 24% già a 12 mesi dall’evento. Le statine prescritte a dosaggi elevati infatti possono indurre effetti collaterali rilevanti in una percentuale di casi non trascurabile, contribuendo alla sospensione volontaria della terapia da parte del paziente.
Per superare questa criticità sarebbe opportuna un’adeguata sensibilizzazione del paziente da parte del medico di famiglia e una sua presa in carico già al momento della dimissione dall’UTIC, per impostare e concordare la strategia terapeutica più efficace e meglio tollerata, anche utilizzando terapie ipocolesterolemizzanti in grado di raggiungere i target terapeutici come le recenti terapie di associazione con ezetimibe.