Istat, crescono disuguaglianze, meno operai più impiegati e pensionati
È stato pubblicato il rapporto Istat annuale relativo al 2016. La parola d’ordine sembra essere disuguaglianze. Il primo dato allarmante è che nel nostro paese nel 2016 si contano circa 3 milioni 590 mila famiglie senza redditi da lavoro, ovvero dove non ci sono occupati o pensionati da lavoro.
Si tratta del 13,9% del totale, con la percentuale più alta che si registra nel Mezzogiorno (22,2%). Nel 2008 queste famiglie erano 3 milioni 172 mila, il 13,2% del totale.
A casa fino a 35 anni
Una delle conseguenza della crisi e della mancanza di lavoro è cristallizzata dal fatto che quasi sette giovani under35 su dieci vivono ancora nella famiglia di origine. L’Istituto spiega che nel 2016 i 15-34enni che stanno a casa dei genitori sono precisamente il 68,1% dei coetanei, corrispondenti a 8,6 milioni di individui.
Un paese di impiegati e pensionati
I due sottoinsiemi più numerosi sono quelli delle ‘famiglie di impiegati’, appartenete alla fascia benestante (4,6 milioni di nuclei per un totale di 12,2 milioni di persone) e delle ‘famiglie degli operai in pensione’, fascia a reddito medio (5,8 milioni per un totale di oltre 10,5 milioni di persone). Per l’Istat il gruppo più svantaggiato economicamente è quello delle ‘famiglie a basso reddito con stranieri’ (1,8 milioni pari a 4,7 milioni di persone), seguono le ‘famiglie a basso reddito di soli italiani’ (1,9 milioni che comprendono 8,3 milioni di soggetti), le meno numerose ‘famiglie tradizionali della provincia’ e il gruppo che riunisce ‘anziane sole e giovani disoccupati’.
A reddito medio sono invece considerate oltre alle famiglie di operai in pensione, quelle di ‘giovani blu collar’ (2,9 milioni, pari a 6,2 milioni di persone). Nell’area dei benestanti, l’Istat inserisce oltre alle ‘famiglie di impiegati’, quelle etichettate ‘pensioni d’argento’ (2,4 milioni, per 5,2 milioni di persone). Il primo posto sul podio dei più ricchi spetta alla ‘classe dirigente’ (1,8 milioni di famiglie, pari a 4,6 milioni di persone).
Scopare la classe operaia
La classe operaia e il ceto medio “sono sempre state le più radicate nella struttura produttiva del nostro Paese” ma “oggi la prima – osserva l’Istat – ha abbandonato il ruolo di spinta all’equità sociale mentre la seconda non è più alla guida del cambiamento e dell’evoluzione sociale”.
Si assiste quindi a una “perdita dell’identità di classe, legata alla precarizzazione e alla frammentazione dei percorsi lavorativi”. Ecco che nella nuova geografia dell’Istat “la classe operaia”, che “ha perso il suo connotato univoco”, si ritrova “per quasi la metà dei casi nel gruppo dei ‘giovani blue-collar'”, composto da molte coppie senza figli, e “per la restante quota nei due gruppi di famiglie a basso reddito, di soli italiani o con stranieri”. Anche la piccola borghesia si distribuisce su più gruppi sociali, in particolare “tra le famiglie di impiegati, di operai in pensione e le famiglie tradizionali della provincia”. Secondo l’Istituto “la classe media impiegatizia è invece ben rappresentabile nella società italiana, ricadendo per l’83,5% nelle ‘famiglie di impiegati'”.
L’Istat fa notare come nel gruppo leader dal punto di vista numerico, quello degli impiegati, il capofamiglia, la persona di riferimento, sia donna in quattro casi su dieci. La nuova mappa nasce dall’esigenza di tenere conto anche della popolazione non occupata, a differenza delle classiche tassonomie che prendono in considerazione solo i lavoratori, e soprattutto dalla necessità di ricalibrare le stratificazioni socio-economiche, viste le frammentazioni in atto. Oggi infatti, fa notare l’Istituto, la “classe operaia ha perso il suo connotato univoco” e “la piccola borghesia si distribuisce su più gruppi sociali.
Le disuguaglianze all’interno delle classi
“La diseguaglianza sociale non è più solo la distanza tra le diverse classi, ma la composizione stessa delle classi”. E’ questa l’analisi contenuta nel Rapporto dell’Istat. Per l’Istat “la crescente complessità del mondo del lavoro attuale ha fatto aumentare le diversità non solo tra le professioni ma anche all’interno degli stessi ruoli professionali, acuendo le diseguaglianze tra classi sociali e all’interno di esse”. E si assiste a una «perdita dell’identità di classe, legata alla precarizzazione e alla frammentazione dei percorsi lavorativi».
Gli stranieri
Sono 5 milioni gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2017, e prevalentemente vivono al Centro-nord. La collettività rumena è di gran lunga la più numerosa (quasi il 23% degli stranieri in Italia); seguono i cittadini albanesi (9,3%) e quelli marocchini (8,7%). Nel 2016 l’incremento degli stranieri residenti è stato però molto modesto, 2.500 in più rispetto all’anno precedente: ciò – spiega l’istituto di statistica – si deve soprattutto all’aumento delle acquisizioni di cittadinanza (178mila nel 2015). Di queste, quasi il 20% ha riguardato albanesi e oltre il 18% marocchini. I permessi per asilo e motivi umanitari attualmente rappresentano quasi il 10% dei permessi con scadenza (esclusi quindi quelli di lungo periodo), il doppio rispetto al 2013.