Malata di Sla chiede aiuto via email: 9 arresti tra medici e infermieri
Una donna malata di Sla è riuscita a chiedere aiuto via email per le condizioni in cui era costretta a vivere, denunciando violenze e maltrattamenti che subiva all’interno della struttura presso cui era ricoverata. Da qui nove provvedimenti domiciliari per medici e infermieri in servizio nella clinica San Vitaliano di Catanzaro specializzata nelle terapie per i malati di Sla e sclerosi multipla. L’operazione denominata “Urla silenziose” è stata condotta da polizia di Stato e Nisa e coordinata dalla Procura di Catanzaro
Violenze che duravano da anni
Da anni subiva le angherie, gli insulti e i maltrattamenti di medici e operatori sanitari nella struttura in cui era ricoverata. E per denunciare i soprusi, paralizzata in un letto a causa della Sla, ha usato il suo computer. Dopo la segnalazione della donna gli inquirenti sono riusciti a piazzare una telecamera nascosta nella stanza dove era ricoverata la paziente.
Gli infermieri non si limitavano a insultare la paziente ma spegnevano l’audio del comunicatore, oppure le spostavano il monitor, così impedendo al lettore ottico a sua disposizione di intercettare le pupille della paziente. In tal modo, la paziente veniva privata non solo della sua voce ma anche della possibilità di impiegare il proprio tempo attraverso attività quali la lettura, le ricerche su internet, telefonare ad un amico o ad un parente, leggere e scrivere mail.
In assenza di quel dispositivo elettronico posto di fronte al suo viso, la donna era costretta, inerme nel suo letto, a fissare la parete che aveva di fronte, nella piena consapevolezza di non poter comandare al suo corpo altro movimento.
Condizioni di vita “dolorosa e mortificante”
I magistrati contestano al medico e gli infermieri anche le aggravanti dell’aver agito per motivi abbietti, ovvero per dispetto o per ritorsione a causa delle continue richieste di assistenza da parte della paziente, abusando dei poteri e violando i doveri inerenti alla loro funzione. Per i pm, la paziente ha subito “comportamenti persecutori, vessatori, a volte aggravati da rabbiosi insulti, posti in essere da parte di alcuni operatori sanitari del centro clinico”.
Il comportamento degli indagati, quindi, ha imposto alla paziente un regime di vita “doloroso e mortificante”, tale da cagionarle frequenti crisi di pianto e da impedirle, a seguito della privazione del dispositivo elettronico, di comunicare in qualsiasi modo, di svolgere le uniche attività possibili per la persona offesa e, soprattutto, comunicare con gli operatori e, finanche, di chiedere assistenza. Secondo gli inquirenti, gli operatori sanitari “hanno agito con inciviltà, mancanza del sentimento di umanità e assoluta mancanza di rispetto delle regole dello Stato e in particolare di quelle regole che guidano l’esercizio della professione sanitaria”.