Maltrattamenti in una casa di riposo gestita da un sacerdote: sospeso
Un caso di maltrattamenti in una casa di riposo per anziani ospiti in una struttura assistenziale a Predappio, nel Forlivese. La struttura era gestita da un sacerdote di 60 anni, direttore di una struttura religiosa-socio assistenziale, e della sua più stretta collaboratrice, una donna quarantenne.
La polizia sta dando esecuzione ad un’ordinanza applicativa di misura cautelare interdittiva della sospensione dall’esercizio del pubblico servizio nei confronti del religioso. I due, viene spiegato, sono «ritenuti, in concorso, responsabili del reato di maltrattamenti nei confronti di anziani pazienti» della struttura. Nella casa di riposo sono ospitati almeno una trentina di anziani. Le indagini sono state condotte dai poliziotti dalla Squadra mobile di Forlì e del Servizio Centrale Operativo.
Le violenze e i maltrattamenti
Legati «per ore, ai polsi, alle caviglie o all’addome a letti, sedie, termosifoni e divani», impossibilitati a «muoversi liberamente» o «ad andare in bagno». Questo succedeva nella struttura religiosa-socio assistenziale «Opera San Camillo». I due indagati utilizzavano queste forme di contenimento dei pazienti al fine di «sopperire alla carenza di personale specializzato ed adibito all’assistenza socio-sanitaria». Gli agenti hanno sequestrato numerose cartelle cliniche, sono stati perquisiti tutti i locali della struttura e «sentite numerose persone informate sui fatti così da circostanziare le modalità delle pratiche illegali utilizzate». La polizia, inoltre, ha provveduto a far nominare immediatamente un nuovo direttore della struttura.
La denuncia
A denunciare quanto succedeva in quella casa di riposo è stata una collaboratrice dell’ospizio, che fa parte della rete dei 13 centri sparsi per l’Italia dell’Opera San Camillo. Sono stati fermati loro due: il personale, sostanzialmente, dava esecuzione a direttive che credeva regolari e già in essere.
Le famiglie dei sette anziani vittime di questi «trattamenti» hanno saputo tutto oggi. L’indagine è partita appunto dalla denuncia di una collaboratrice che ha fornito per prima una prova di quanto accadeva portando un filmato. Da lì sono partiti gli approfondimenti dei poliziotti, anche con l’uso di telecamere.
Ci sono voluti circa 10 mesi per documentare tutto quel che succedeva e ottenere la decisione del gip. Gli anziani che venivano immobilizzati ora saranno presi in cura dai servizi sanitari per capire quali altri «danni» abbiano subito a causa del «regime» della loro permanenza nella struttura; per dirla con le parole di un investigatore «sono persone, in alcuni casi incapaci di comunicare, entrate con un problema e che ora escono con un altro che dovrà essere preso in carico».