Mafia calabrese sul mercato ortofrutticolo di Milano: 33 arresti

Mafia calabrese sul mercato ortofrutticolo di Milano: 33 arresti

I carabinieri dei Ros, su ordine della Dda di Reggio Calabria, hanno arrestato nel corso di un’operazione all’alba 33 persone legate al clan dei Piromalli, una delle più potenti cosche della ‘ndrangheta calabrese.

Tra questi otto sono stati eseguiti a Milano, oltre al sequestro di due negozi di frutta e verdura a Parabiago e a Pogliano Milanese, di abbigliamento a Peschiera Borromeo e del punto vendita di una catena in franchising a Lecco. L’indagine parte da un “Radicale controllo sugli apparati imprenditoriali, nei settori immobiliare e agroalimentare, con riferimento anche al mercato ortofrutticolo di Milano».

Nel capoluogo lombardo è tra i capannoni del mercato di via Lombroso, secondo gli investigatori che da mesi lavorano a questa operazione, che la criminalità organizzata aveva una delle sue basi più importanti.

I reati: associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, intestazione fittizia di beni, autoriciclaggio, tentato omicidio e altri reati aggravati dalle finalità mafiose. Si tratta di colletti bianchi, nel caso di Milano: «Capaci di stringere importanti accordi commerciali con interlocutori nazionali e internazionali», spiega il procuratore capo di Reggio Calabria.
La ‘Ndrangheta avrebbe lanciato gli accordi commerciali per esportare in modo massiccio olio contraffatto negli Usa, spacciando per extra vergine di alta qualità olio di sansa, scarti di lavorazione delle olive.

All’Ortomercato il clan aveva aperto in una delle palazzine dell’area un night club, il For a king, con tutte le licenze a posto, e per questo erano stati indagati alcuni dipendenti comunali. Radicamento antico, quello della criminalità tra i bancali di arance e insalate: le indagini, all’epoca, ricostruirono una presenza stabile delle mafie nell’Ortomercato a partire almeno dagli anni Ottanta, con un patto spartitorio tra cosche siciliane e calabresi per il controllo dei mercati dei prodotti agricoli e, allo stesso tempo, della droga.

Le cosche avevano messo in piedi un traffico per spacciare negli Usa falso olio extravergine di oliva, che altro non era che olio di sansa, frutto degli scarti di produzione. Lo compravano a prezzi stracciati in Grecia, Turchia o Siria, e dopo una rapida lavorazione in Calabria veniva spedito negli Stati Uniti, dove passava la dogana come olio di sansa. Dopo era una vera e propria organizzazione criminale ad alterarne le etichette, trasformandolo in olio extravergine di origine italiana, e a farlo arrivare sugli scaffali di Wal-Mart e altri grandi catene.

 

Per anni i milanesi hanno mangiato solo arance della ‘ndrangheta, hanno comprato appartamenti e uffici costruiti dal clan, hanno indossato i loro capi d’abbigliamento contraffatti. Business diversi ma gestiti attraverso una galassia di società tutte riconducibili a Piromalli jr e ai suoi cognati, ognuno di loro delegato ad un’attività specifica.

Francesco Cordì e Nicola Rucireta, ad esempio, si occupavano del settore turismo, dove hanno strappato milionarie commesse a grandi gruppi come Club Med, Valtour e Alpitour grazie alle tangenti.  A Pasquale Guerrisi era affidato il coordinamento delle attività del clan nell’edilizia, come i rapporti con gli altri clan della Piana di Gioia Tauro.

Francesco Pronestì si occupava invece tanto del settore abbigliamento, permettendo al clan di aprire in diversi centri commerciali punti vendita di noti marchi come Celio e Jennifer, come della commercializzazione degli agrumi tanto all’Ortomercato di Milano, come nell’est Europa.

“Quello che impressiona di fronte a questa indagine – commenta il procuratore Federico Cafiero de Raho – è la straordinaria capacità imprenditoriale, che permette ai clan di imporsi nei settori più diversi”.

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