Orange is the New Black, la serie ritorna più agguerrita che mai
Finalmente è tornata, con la quinta stagione, la serie che più ci ha tenuti incollati allo schermo: Orange is the New Black.
Ricordiamo sempre che è una serie televisiva statunitense trasmessa in streaming su Netflix, ideata da Jenji Kohan e prodotta da Lionsgate Television.
Il tema principale di questa nuova stagione è il cambiamento. Ambientata, come al solito, al carcere di Litchfield, con i soliti 13 episodi, adesso però gli avvenimenti si svolgono in soli 3 giorni.
Avevamo lasciato le protagoniste alle prese con l’inizio della rivolta, con Dayanara che puntava una pistola contro un agente, e tutt’intorno le detenute che innegiavano al caos, scatenate dalla morte di Poussey. E’ adesso che il contesto carcerario cambia, le carcerate prendono il controllo della prigione, prendono le guardie ad ostaggio e intavolano trattative con l’esterno per ottenere migliori condizioni di vita e giustizia per l’amica assassinata.
La caratteristica principale di questa nuova stagione è che non racconta nè il prologo nè l’epilogo della rivolta, ma l’intermezzo in cui si svolge, le tre giornate in cui le carcerate controllano il carcere.
Qui si accantona il punto di vista unicamente di Piper per abbracciare quello di tutti i personaggi. Funziona bene tutto il gruppo di Taystee, impegnata nelle trattative, Cindy, Suzanne e Alison, principalmente perché legate alla morte di Poussey, che nella serie ricordiamo è un evento recentissimo. In generale è difficile non seguire con affetto personaggi storici come Doggett, Carrie, Red, Nicky e le altre che qui avranno tutte spazio per emergere.
E’ pur vero che questo OITNB pare essere l’eccesso di sè stesso, risultando a volte anche un po’ grottesco: ostaggi ridicolizzati, un episodio a sfondo horror che stona con tutto il resto, flashback che ormai dicono poco e niente data la già da tempo acquisita familiarità con i personaggi. Da apprezzare comunque la volontà di sdrammatizzare e di alternare a momenti importanti e forti momenti di leggerezza e ironia.
La cosa che più colpisce è l’unione e contemporaneamente la disunione tra le varie prigioniere, i sentimenti di umanità che emergono da ognuna. Tant’è vero che il carcere di Litchfield si può quasi identificare con una città, con i suoi quartieri, le rivalità anche razziali, le storie d’amore e i traumi interiori che ognuno, carcerato e non, si porta dentro.
L’episodio finale resta molto bello nel suo insieme, anche se assolutamente non all’altezza del finale di stagione della quarta stagione, ma comunque soddisfacente.
E sono qui con incredibile tristezza e infinita fame che aspetterò un anno. Intanto invito tutti quelli che non hanno visto Orange is the New Black ad iniziarlo rapidamente perché mettersi in pari è un duro lavoro, ma bisogna pur farlo.