Scegliere di morire si può, con la sedazione palliativa: la storia di Dino
La pratica dell’eutanasia nel nostro paese è vietata, ma esiste un modo per potere mettere fine alle sofferenze dei malati gravi, incurabili.
La forma di trattamento denominato “sedazione palliativa” è emersa nel 1998, con il cosiddetto “caso Bærum”. Un medico dell’ospedale Bærum aveva accusato un collega di aver […] illegalmente praticato l’eutanasia – allora denominata con il termine improprio di “eutanasia attiva” – dopo che un malato di cancro che aveva gravi dolori era stato sedato fino alla morte. La questione era stata denunciata alla polizia, ma nel dicembre 2001, il responsabile della pubblica accusa chiuse il giudizio per “insufficienza di prove”.
Il caso ha dato luogo ad un dibattito intenso e di vasta portata e ha anche comportato gravi conseguenze per alcune persone.
In seguito a ciò, l’Associazione Medica Norvegese ha preparato delle linee guida dettagliate per la terapia che divenne nota come “sedazione palliativa per il morente”. L’obiettivo era quello di garantire che il piccolo gruppo di pazienti che sono soggetti ad una sofferenza intollerabile, nonostante il trattamento sintomatico palliativo, potesse avere accesso a questa terapia in un quadro che sia clinicamente, eticamente e giuridicamente giustificabile.
Un punto chiave era che la vita non dovrebbe essere abbreviata da questo trattamento, ma la morte del paziente avviene per la sua condizione patologica.
In Italia il primo caso di sedazione palliativa si è verificato nei giorni scorsi, il paziente era Dino Bettamin, 70 anni, macellaio di Montebelluna da cinque malato di Sla che aveva espresso questa volontà ed è stato assecondato con la sedazione palliativa. «Voglio dormire fino all’arrivo della morte, senza più soffrire»
Rispettando anche il suo rifiuto a qualsiasi trattamento, compresa la nutrizione artificiale. L’uomo è morto ieri. Il suo, come riportano i giornali locali, è il primo caso di «sedazione profonda» somministrata ad un malato di Sla.
«Non è eutanasia. È stata una scelta di vita sua e nostra»: a dirlo Maria Pellizzari, la moglie di Dino Bettamin, il macellaio di Montebelluna da cinque malato di Sla morto ieri dopo aver espresso la volontà di dormire fino al momento del decesso ed è stato assecondato con la sedazione palliativa. La moglie ha parlato di un accompagnamento alla morte «in serenità», di una «scelta lucida. Una scelta di vita».
«Era una chiara richiesta di sedazione basata su un chiaro sintomo refrattario, dato da un’angoscia incoercibile anche con farmaci e trattamenti psicologici – spiegano gli infermieri di ‘Cura con Curà, la società privata che dal 2015 si occupa dell’assistenza domiciliare del paziente – nonostante tutta l’umanità e la professionalità con cui è stato assistito nelle varie fasi della patologia».
Dino sapeva che gli rimanevano pochi giorni di vita. «Mio marito era lucido – racconta la moglie – e ha fatto la sua scelta. Così dopo l’ultima grave crisi respiratoria è iniziato il suo cammino».
La sera del 5 febbraio la Guardia medica ha aumentato il dosaggio del sedativo che già l’uomo prendeva per flebo e il giorno successivo la dottoressa dell’assistenza domiciliare ha iniziato a somministrare gli altri farmaci del protocollo. «Non ha mai chiesto di spegnere il respiratore, nonostante la legge lo consenta nei casi di sedazione profonda – riferisce l’infermiera – anzi, lo terrorizzava l’ipotesi di morire soffocato. Ha optato per una scelta in linea con la legge, la bioetica e la sua grande fede». Ieri quando la moglie lo ha rassicurato di aver fatto tutto quanto le aveva chiesto, Dino si è lasciato andare.
Sedazione profonda: quando si può attuare
La cronaca impone di chiarire una differenza sottile, ma rilevante: quella che esiste tra la sedazione profonda (consentita in Italia) e l’eutanasia (vietata). La prima permette di indurre farmacologicamente un sonno profondo che si protrae fino alla morte ed è consentita in tutti quei casi in cui il dolore non appare trattabile. L’obiettivo della sedazione terminale – che deve limitarsi ai casi in cui i sintomi refrattari siano di un’intensità sufficiente e non esista alternativa terapeutica – è l’alleviamento della sofferenza del malato mediante una riduzione proporzionata del livello di coscienza. Condizione necessaria per procedere è che la richiesta giunga dal diretto interessato. Le cure palliative, per come descritte, rappresentano dunque un trattamento adeguato e applicabile a tutti quei casi in cui il paziente non risponde più alle cure. Diverso invece è il significato di eutanasia, che gli esperti spiegano così: «Qualcosa che ha l’obiettivo di uccidere intenzionalmente una persona, effettuata da un medico, per mezzo della somministrazione di farmaci, assecondando la richiesta volontaria e consapevole della persona stessa».