Servono più risorse per la ricerca: persi un miliardo e 10mila giovani
La ricerca pubblica italiana lancia un grido d’allarme per carenza di fondi e di ricercatori: ci sarebbe bisogno di maggiori risorse e, invece, deve fare i conti con tagli importanti. Nonostante ciò l’Italia si colloca ai vertici mondiali, con un impatto della produzione superiore alla media dell’Unione Europea.
L’analisi dello stato di salute della ricerca pubblica nazionale è emerso nel corso di un incontro promosso dalla Consulta dei presidente degli enti pubblici di ricerca e dalla Conferenza dei rettori delle Università italiane (Crui).
I dati
Pochi, malpagati, ma estremamente produttivi. Sono i ricercatori italiani. L’Italia investe meno di altri Paesi in ricerca e sviluppo (1,33% del Pil nel 2015 contro una media europea pari a 2,03%, secondo Eurostat) e ha un numero inferiore di ricercatori rapportato alla popolazione (nel 2015 la percentuale dei ricercatori ogni mille occupati in Italia era pari al 4,73% contro una media europea del 7,40%, stando a dati Ocse). Inoltre, ha sottolineato il presidente della Crui, Gaetano Manfredi, dal 2008 ad oggi la ricerca universitaria ha perso un miliardo di euro e 10mila ricercatori.
«Se riuscissimo a recuperare sia i fondi sia i ricercatori – ha aggiunto Manfredi – torneremmo a una situazione nella quale eravamo sottodimensionati, ma almeno avevamo l’opportunità di avere dei giovani ricercatori. Che, invece, formiamo a livello dei Paesi in cima alle classifiche, ma che ogni anno rischiamo di perdere per le difficoltà di reclutamento».
Stando al Report 2016 dell’Anvur, la quota sul totale della produzione scientifica italiana delle pubblicazioni su riviste eccellenti (presenti nel top 5% internazionale in base al fattore di impatto) è superiore alla media mondiale. Analogamente, nel periodo 2011-2014, l’impatto della produzione italiana, risulta superiore alla media dell’Unione Europea.
Per mantenere queste performance, evitando la dispersione delle (scarse) risorse a disposizione, l’impegno della Consulta è rivolto a indirizzare e catalizzare i fondi su pochi ma importanti progetti europei.
A conti fatti mancano almeno 1,3 miliardi di euro per ritornare alle condizioni di partenza di qualche anno fa. L’appello arriva dai rettori e dai presidenti dei maggiori centri di ricerca pubblici dal Cnr all’Inaf fino all’Asi.
Il secondo rapporto biennale sullo stato del sistema dell’università e della ricerca, presentato dall’Anvur a maggio, mostra, che in Italia il numero di immatricolazioni, di docenti e di laureati è più basso rispetto alla media Ocse. Sull’ultimo dato, in particolare, il nostro Paese è in coda rispetto agli altri. Sono, infatti, circa 200mila i laureati ogni anno, e solo il 24% dei ragazzi di età compresa tra 25 e 34 anni è in possesso di una laurea, a fronte del 41% della media Ocse.
Per il presidente della Crui, “l’invecchiamento del corpo docente, le difficoltà nel reclutamento dei giovani e la riduzione del numero di iscritti all’università sono proprio conseguenze del taglio del 20% del finanziamento ordinario negli ultimi otto anni”. Una situazione ben fotografata anche dall’ultimo rapporto Istat su “Ricerca e sviluppo in Italia”, pubblicato a novembre 2016 e relativo al biennio 2014-2016, secondo il quale sono “ancora in calo le previsioni di spesa pubblica”. Gli esperti affermano che “gli stanziamenti per ricerca e sviluppo di amministrazioni centrali, regioni e province autonome sono passate dagli 8,5 miliardi di euro del 2014 ai circa 8.3 miliardi di euro del 2015”.