Ticket sanitari, divario nord-sud: Veneto 4 volte più che in Sicilia
È bufera sui ticket sanitari dopo la pubblicazione dei dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas).
Dalle informazioni raccolte spicca la grande differenza tra Nord e Sud sui soldi incassati per i ticket sanitari, ed emerge che i veneti pagano più di tutti in Italia: in media un contribuente residente in Veneto sborsa 36,2 euro all’anno, contro gli 8,7 euro pagati in media da un siciliano. In pratica, quattro volte tanto. La media italiana invece è di 23 euro pro capite.
Alcuni dati
L’unica grande Regione a non aver visto un calo degli introiti da ticket sulla specialistica nel 2015 rispetto al 2012 è l’Emilia-Romagna, che ha segnato un +4,8%.
Altro dato è la diminuzione complessiva delle prestazioni sanitarie specialistiche, come visite ed analisi. È non è del tutto vero che questa diminuzione abbia favorito il privato a discapito del pubblico, perché le visite specialistiche sono diminuite quasi del 10% sia nella sanità pubblica che in quella privata.
Al Sud c’è chi non arriva nemmeno ai 10 euro, come Campania e Sicilia, o li sorpassa di poco, tipo Puglia e Calabria. Altri rimangono comunque sotto ai 23 euro di media spesi in Italia. Il vero motivo è che le regioni meridionali siano zavorrate dalle esenzioni, che possono essere per patologia, invalidità o reddito-età (riguardano chi ha meno di 6 o più di 65 anni e un reddito familiare sotto i 36mila euro.
Ed è l’esenzione il vero nodo. Il problema è dei falsi esenti: si stima che in certe realtà l’80% di coloro che si rivolgono alla sanità pubblica abbiano un certificato di esenzione, un dato enorme che fa pensare a un’alta diffusione di queste truffe. La Campania incassa in un anno 56 milioni di euro mentre l’Emilia Romagna, che ha oltre un milione di abitanti in meno, incassa dal ticket sanitario 159 milioni.
Di esenzioni è pieno anche il Fvg, che tra patologie e reddito, cioè gli ultra 65enni con introiti inferiore ai 35 mila euro annui, conta circa il 65 per cento di prestazioni esenti da ticket. Che su un milione e 200 mila abitanti significa circa 780 mila persone esenti. «Va detto che da noi i controlli ci sono e funzionano – spiega Telesca -, perché le esenzioni partono da un’autocertificazione, ma vengono verificate su campioni molto alti e ogni anomalia viene incrociata con le forze dell’ordine competenti».
Ma l’esecutivo ha anche rimodulato la quota di ricetta in base al reddito da zero a 30 euro, come Piemonte e Lombardia, mentre altre regioni, come Veneto, Emilia Romagna, Toscana e Umbria, hanno rivisto la rimodulazione dai 3 ai 70 euro.
Tutti lo criticano, lo vorrebbero cancellare, lo accusano di allontanare i malati dal sistema sanitario pubblico, eppure le Regioni non potrebbero farne a meno. L’odiato ticket dà alle casse della sanità locale un po’ di respiro, facendo entrare soldi freschi in fondi sempre più spompati.
Tra falsi esenti, tariffe ballerine e bilanci in difficoltà si è completamente perso il significato iniziale dei ticket. “Sono nati come strumento per migliorare l’efficienza, rendere le prescrizioni più appropriate e dare equità al sistema”, dice Francesco Bevere, direttore generale di Agenas.
I dati però dimostrano come il Servizio Sanitario Nazionale sia sempre meno utilizzato da parte dei cittadini. Molti pazienti si sono spostati nel privato puro, dove non ci sono le liste di attesa e talvolta si spende lo stesso o addirittura si risparmia rispetto al costo del ticket. I tempi di attesa infiniti e appunto un ticket che spesso cresce come cifra di pagamento spingono i cittadini verso le visite e cliniche private, laddove possono chiaramente.